La tutela del concept store: copyright o design?

“Il mio mascara vale più di uno stupido maschio” diceva Marylin Monroe, ma nel caso della KIKO i suoi mascara sono valsi all’incirca 716.250,00 €.

Si dice che l’emulazione è la più sincera forma di adulazione, ma nel settore del Retail e dell’arredamento d’interni, l’emulazione potrebbe condurre, a determinate condizioni, ad una violazione del diritto d’autore.

E’ ciò che ha sostenuto la Corte di Cassazione nella complessa e articolata vicenda, che ha visto protagonisti i due colossi della cosmesi mondiale, la KIKO contro la Wycon Cosmetics, qualificando “un progetto o un’opera di arredamento d’interni (c.d. concept store) come opera architettonica unitaria, artistica e innovativa, fonte di espressione della creatività dell’autore, e come tale, con questi presupposti, tutelabile con la legge del diritto d’autore piuttosto che con il design industriale (Cass. civ. Sez I n.8433/2020).”

Il CASO

È iniziata nel 2013 lo scontro che vede protagonisti i due colossi della cosmesi, quando il gruppo Percassi  a cui fa capo il marchio KIKO citava in giudizio, avanti il Tribunale di Milano,  la società perugina “Wycon Cosmetics”, di Raffaella Pagano e Gianfranco Satta,  accusandola di concorrenza sleale confusoria e parassitaria e chiedendo di accertare che il layout dei propri negozi costituisse un’opera di design e di architettura protetta dal diritto d’autore e di conseguenza di condannare la WYCON per la violazione del design e dell’architettura interna del concept store progettato e realizzato dal noto studio Iosa Ghini.

Di concorrenza parassitaria se ne sente parlare spesso, ma ci soffermeremo brevemente sul punto per coloro che ancora oggi si chiedono in che cosa consiste questo tipo di comportamento e quali siano le conseguenze che ne derivano.

In altre parole, gli imprenditori che intraprendono questo tipo di attività scorretta diventano automaticamente degli emulatori, detti anche parassiti (dal quale prende nome l’espressione stessa di concorrenza parassitaria), semplicemente perché “… agiscono nella scia di un concorrente in maniera sistematica e continuativa, a tal punto da utilizzare e fare proprie le realizzazioni sperimentate da altri in sede di mercato.” (Cass. sent. n. 22118/2015).

Il fine, dunque, è quello di trarre un profitto senza il minimo sforzo, evitando così il rischio di insuccesso.

Di certo ad ognuno di voi è capitato di fare una passeggiata per le strade di via Condotti a Roma o in Piazza Duomo a Milano, e di notare l’estrema somiglianza nell’aspetto estetico, nella predisposizione dei prodotti all’interno degli STORE in commento, che per loro sfortuna o per pura coincidenza, nella maggior parte delle città italiane, sono posizionati l’uno al fianco dell’altro.

Ma torniamo alla lite.

L’attacco nei confronti della “Wycon” era per l’appunto rivolto all’aspetto estetico del suo negozio, che presentava un’architettura e un arredamento d’interni simile a quello progettato dal Iosa Ghini per il brand Kiko, generando di conseguenza un potenziale stato confusionale nei consumatori circa l’origine e la titolarità dei brand in questione.

Ad ogni modo, i legali della convenuta hanno risposto alle accuse, portando a sostegno delle proprie difese valide argomentazioni e una serie di fotografie di altre profumerie, a loro dire del tutto simili, che avrebbero dovuto garantire alla ‘Wycon’ non dico la vittoria ma almeno un vantaggio.

Malgrado ciò, il Tribunale di Milano, con la sent. n. 11416/2015, accoglieva parzialmente le domande avanzate dai legali della KIKO e, nel ritenere accertata la tutelabilità di un progetto di arredamento di interni ai sensi del diritto d’autore, la contraffazione  del progetto nonché la concorrenza parassitaria (art.2598 co 3 cc), condannava la WYCON al risarcimento del danno in favore della KIKO nella misura di complessivi Euro 716.250,00, oltre interessi, fissando a titolo di penale la somma di Euro 10.000,00 per ogni negozio che avesse mantenuto i detti arredamenti.

Ad ogni modo, la pronuncia è stata poi Appellata dai legali della convenuta perché ritenuta errata in quanto “non si sarebbe trattato di opera di architettura di interni, ma eventualmente di interior design, tutelato ai sensi del successivo art. 2 n. 10 l.a., che richiederebbe che l’opera abbia un valore artistico.

Nonostante le valide argomentazioni, la Corte confermava la decisione presa dai giudici di prime cure riconoscendo altresì “il carattere originale e creativo” dell’arredamento interno che caratterizza i negozi KIKO, e, dunque, meritevole di tutela ai sensi della legge sul Copyright.

La risposta della ‘Wycon’ ovviamente non è tardata ad arrivare che ha lanciato la palla in Cassazione senza però ottenere successo.

La Suprema Corte infatti si è recentemente espressa sulla questione riconoscendo, a determinate condizioni, la possibilità di tutelare i layout interni degli store con la disciplina del diritto d’autore, qualora soddisfino i requisiti dell’originalità e della creatività.

Una decisione innovativa che ha sicuramente creato un precedente giuridico di non poco conto dal momento che, d’ora in poi, permetterà a tutte le aziende, che fanno del concept store il loro business core, di tutelare l’espressività, l’originalità e la creatività dei propri arredamenti d’interni, distinguendoli da quelli dei competitors.

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